Ugo Nespolo__Diplomato all’Accademia Albertina con Enrico Paolucci, Ugo
Nespolo avverte subito l’esaurirsi definitivo di una stagione accademica
e provinciale, esplorando inedite possibilità sul piano delle scelte
non solo espressive ma in senso lato intellettuali. Molto stretti sono,
sin dall’inizio, i rapporti con gli elementi di punta della cultura
torinese: le sue due prime personali (Ugo Nespolo e La logica del puzzle,
presso la Galleria Il Punto di Torino), nel 1966,sono accompagnate da
testi di Edoardo Sanguineti, che era allora il già riconosciuto capofila
della ‘neoavanguardia’; al cosiddetto Gruppo 63 appartiene anche Renato
Barilli, che, con critici di punta come Crispolti, Trini, Celant,
Dorfles e Caramel, segue gli esordi del giovane artista. Per non dire di
Ben Vautier, che ne schizzava di scorcio, en artiste,questo
ritratto: “Nespolo est ambitieux. Nespolo est jaloux. Nespolo est
hypocrite. Nespolo est méchant. Nespolo est menteur et rusé. Nespolo est
dévoré de prétention. C’est un loup. Il se porte bien”. A
Torino, poi, svolgeva un importante ruolo di promozione intellettuale
Albino Galvano, l’insegnante di filosofia che, dopo gli esordi
casoratiani in campo figurativo, era stato fra i primi ad avvertire il
bisogno di un rinnovamento non solo superficiale, partecipando con
un’altra ‘eretica’ torinese, Carol Rama, all’esperienza del MAC; e
Galvano (che presenta nel 1966 i disegni di Lux mundi) era in
contatto con gli ‘universitari’ della rivista “Sigma”, che, pur senza
rinunciare alla storicità del fatto artistico-culturale, stavano
aggiornando le loro posizioni critiche alla luce delle acquisizioni
metodologiche – in particolare lo strutturalismo e la semiologia –
provenienti d’Oltralpe. Si trattava anche di prendere le
distanze dall’ancora imperante, e sempre più soffocante, egemonia
crociana (che tale era rimasta anche quando veniva coniugata con
Gramsci, a giustificare le operazioni di tipo ‘neorealistico’). A Torino
insegnava allora Estetica e Filosofia morale Luigi Pareyson, che aveva
enunciato l’importante ‘teoria della formatività’, secondo cui “formare
significa fare, ma un tal fare che, mentre fa, inventa il modo di fare”;
era un forte richiamo non solo al concetto di ‘poetica’, ma al
carattere operativo, quasi manuale, del processo di
elaborazione-costruzione dell’opera d’arte. Di Pareyson, per non dire
altro, erano stati allievi Umberto Eco e Gianni Vattimo, con il quale
Nespolo è sin d’allora in contatto. Nella storica sede
torinese dell’Einaudi, in via Biancamano, lavorava intanto Italo
Calvino, che aveva fondato con Vittorini la rivista “Il menabò”,
dedicando nel 1964 un numero unico all’allora dibattuto rapporto fra
industria e letteratura. Nel 1967 Calvino pubblicava il fondamentale
saggio Cibernetica e fantasmi, proposto come “appunti sulla
narrativa come procedimento combinatorio”; nel contempo frequentava i
seminari di Roland Barthes a Parigi, stabilendo stretti legami con il
gruppo dell’Oulipo e con Raymond Queneau in particolare. Ma Queneau era
anche amico di Enrico Baj, con il quale Nespolo aprirà a Milano, nel
1972, il ‘Premiato studio Nespolo & Baj”. Non stupisce allora che
Nespolo pubblichi nel 1968 un libro di logica formale, Verità e menzogna,
interessandosi a quella “scienza delle soluzioni immaginarie” che è la
patafisica’ di Jarry e dando vita all’Associazione Antidogma. È proprio Jarry a ispirare un film come Un supermaschio, dove si muove freneticamente il busto di Joseph Beuys (seguiranno, nel 1978 e nel 1982, Lo spaccone e Le porte girevoli).
Era nata precocemente anche la passione per il cinema, che porterà
Nespolo a dare vita, con Mario Schifano, al Cinema degli Artisti,
ispirato al New American Cinema. Tra il 1967 e il 1968 realizza film
come Grazie Mamma Kodak, La galante avventura del cavaliere dal
lieto volto, Le gote in fiamme, Neonmerzare, Buongiorno Michelangelo,
Boettinbianchenero, Tucci-Ucci, che hanno come protagonisti gli
amici Enrico Baj, Lucio Fontana, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto,
Alighiero Boetti. A Milano, grazie a Fernanda Pivano, conosce anche i
più significativi esponenti della beat generation, Jack Kerouak e Allen Ginsberg, che diventa il protagonista del film A. G. (1968).
Quella del cinema è un’esperienza che durerà negli anni, dando luogo a
importanti retrospettive a lui dedicate da Musei, Gallerie, Fondazioni
ed Istituzioni culturali (il Philadelphia Museum of Modern Art; Centro
de arte y comunicaciòn Elpidio Gonzalez, Antwerpen, Belgium; Musée du
Cinema, Palais de Chaillot, Paris; BFI, National Film Theatre, The
London Film Makers’ Co-Op; Hayward Gallery, London; Filmoteka Polska,
Istituto di Cultura Italiana Napa di Solidarnosc, Museo Nazionale,
Varsavia; Istituto Italiano di Cultura, Cineteca Wallraf - Richartz -
Museum, Colonia; Pechino e Shanghai, Ufficio Cinema Cinese, Film
Festival Internazionale di Shanghai; M.K. Ciurlionis National Museum of
Art, Kaunas, Lithuania), fino al Beaubourg di Parigi (con la rassegna
del 1984 intitolata Le cinéma diagonal), dove verrà anche presentato, nel 2001, Film/a/To,
sceneggiato e interpretato da Edoardo Sanguineti (fondamentale, per la
prima stagione del cinema di Nespolo, il volume del 1978 che gli dedica
Vittorio Fagone, La fugace vita dei fotogrammi). Il
rapporto interattivo fra le arti, che presupponeva un diverso rapporto
con il pubblico, era stato rilanciato dal movimento internazionale –
animato dalle personalità di Maciunas, Beuys, John Cage e Ioko Ono – di
Fluxus, di cui si interessa Nespolo, che porta a Torino il Concert Fluxus “Les mots et les choses”,
a cui prendono parte, fra gli altri, Ben Vautier, Boetti, Sanguineti,
Lora Totino (Galleria Il Punto, 26-28 aprile 1967). Piuttosto che a
Parigi, che assisteva al decadere del suo ruolo di centralità
artistico-culturale, il suo sguardo è rivolto a una ormai trionfante New
York, dove soggiorna a lungo, fino ad aprire uno studio al numero 260
della West Broodway, dopo aver tenuto alcune importanti mostre alla
Arras Gallery dal 1973 al 1985 (un’esposizione del 1981 è salutata da un
articolo di Furio Colombo sulla “Stampa” di Torino, Un marziano della pittura sbarca a New York).
Assapora così la vita newyorchese, alzando gli occhi verso i
grattacieli o abbassandoli per curiosare dentro le vetrine (quadri come Fuga da New York, 1986, Quando la città dorme, 1989, fino a Soft New York, del 1999, e la serie Vetrine di New York, presentata nel 1989). In America il declino dell’informale aveva segnato l’affermazione della pop art,
a cui Nespolo guarda con interesse, pur senza trascurare la tradizione
delle avanguardie europee, dal Futurismo al Dada: Depero, in
particolare, che gli offre il modello di un’arte ludica, pienamente
inserita nel contestodella vita quotidiana. E’ sulla base di queste
convinzioni che Nespolo attraversa la stagione dell’Arte Povera,
collocando il suo nome nel famoso manifesto della mostra Con-temp l’azione
(Galleria Christian Stein / Il Punto, Torino 1967), disegnato dal
grande amico Alighiero Boetti, in cui compaiono, con altri, “i dieci di
Torino” del gruppo (Piacentino, Merz, Zorio, Pistoletto, Paolini,
Mondino, Gilardi, Anselmo). L’ampiezza di queste
aperture, in un artista tutt’altro che usuale, va oltre la scelta – che
pure resta fondamentale – della vocazione pittorica, ma serve ad
arricchirla di apporti e di risonanze molteplici, oltre a sostanziarla
di una profonda consapevolezza critica. Artista e uomo di cultura, c’è
in lui la convinzione che fare arte non può prescindere dal riflettere
sull’arte. Critico d’arte (ricordiamo solo due recentissimi interventi,
apparsi sulla “Stampa” di Torino, dedicati a Cezanne e Picasso), Nespolo
ha esposto la sua concezione in un libro, Arte & vita
(1998), in cui ha rielaborato la sua tesi di laurea in Semiologia,
discussa con Gian Paolo Caprettini presso l’Università di Torino. Contro
le concezioni solipsistiche dell’artista, e il suo sprezzante isolarsi,
Nespolo rivendica l’esigenza di ‘contaminarsi’, scendendo in mezzo alla
gente e adattando l’arte alle sue esigenze, per farla entrare nei
circuiti dell’esistenza quotidiana. Il modello viene offerto dalle ‘case
d’arte’ futuriste, come quella di Balla, che a loro volta rientravano
nei progetti, esposti nel celebre ‘manifesto del 1915, di una
“ricostruzione futurista dell’universo” (la Casa d’arte Nespolo è, non a caso, il titolo dell’antologica del 1995 al Palazzo della Permanente di Milano). Di qui l’attenzione per il design e
la pratica assidua di un’arte applicata, che ha portato Nespolo a
cimentarsi nei settori più disparati, dall’abbigliamento e
dall’arredamento, dalle copertine di libri e di dischi alla grafica
pubblicitaria (le campagne dedicate a Campari e alla Richard Ginori, del
cui Museo è stato il direttore artistico): fondamentale risulta la
creazione di manifesti dedicati a importanti eventi culturali e
sportivi, da Azzurra ai Mondiali di Calcio e al Giro d’Italia. Sul piano
degli interventi di più marcato impatto ambientale, vanno ricordate le
‘luci d’artista’ per i grandi magazzini delle Gru, nell’hinterland
torinese, e la campagna per i trasporti pubblici, approdata ai grandi
pannelli che, alle fermate della metropolitana torinese, rievocano
episodi della storia antica e moderna della città. Né poteva mancare, in
questa concezione operativa, l’attenzione non solo visiva ma tattile
per i materiali del ‘fare’ artistico: dal legno ai metalli (oltre ai
bronzetti, ricordiamo il monumento Lavorare, lavorare, lavorare, preferisco il rumore del mare,
realizzato per la città di San Benedetto del Tronto e inaugurato
dall’amico Renzo Arbore); dalle ceramiche (con la partecipazione a
iniziative e a mostre tenute a Faenza, a Castellamonte e in Giappone) ai
vetri (importante la collaborazione con le vetrerie Barovier & Toso
di Murano); dai vari tipi di stoffe (compresi i tappeti) alle pietre
preziose (una prima sintesi indicativa è nella mostra Alabastro, argento, avorio, ebano, lacca, seta, smalto, ospitata nel 1974 dalla Galleria Blu di Milano). Nespolo ha poi disegnato le scenografie e i costumi di opere liriche come la Turandot di Busoni, il Don Chisciotte di Paisiello e l’Elisir d’amore di Donizetti, la Butterfly di Giacomo Puccini, oltre a occuparsi del tour
di Ivano Fossati nel 2000; e al servizio della musica – per non dire
delle collaborazioni con Luciano Berio e Severino Gazzelloni – si pone
il libretto scritto per l’opera buffa Al museo in volo & a zompi
(1996) musicata da Giulio Castagnoli. Agli interessi musicali si è poi
accompagnata la passione per i libri (competente e accanito bibliofilo,
possiede una straordinaria collezione di prime edizioni futuriste) e per
la letteratura: oltre a pubblicare un libro di poesie irriverenti, Nella riserva circondati dai cow-boys, ha illustrato importanti opere letterarie: dalle poesie di Gozzano al Magnificat di
Alda Merini. Nella caleidoscopica circolarità di questi legami, anche
le note del pentagramma e i numeri, le lettere dell’alfabeto e i libri,
prendendo vita e animandosi, possono diventare il soggetto e le immagini
delle opere pittoriche. Le premesse di questi sviluppi sono da
rintracciare nelle posizioni che, assunte e sostenute sin dagli esordi,
vengono autorevolmente consacrate da Pierre Restany, il quale, nel marzo
del 1968, presentava la personale Macchine e oggetti condizionali presso
la prestigiosa Galleria Schwarz di Milano. Intitolando il suo
intervento alla “critica della ragion pratica”, poteva osservare, in limine, che “l’universo di Nespolo è quello della ricostruzione oggettiva” (esattamente l’inverso di quanto aveva fatto il Nouveau Réalisme,
dallo stesso Restany tenuto a battesimo qualche anno prima). E
aggiungeva: “Nelle sue costruzioni, nei suoi ‘camuffamenti’ (oggetti
ricoperti di pittura macchiettata) o nei suoi puzzles (forme ritagliate
entro superfici piane e scomponibili) si ritrova il denominatore comune
della sua visione del mondo: l’approccio deliberatamente frammentato del
reale attraverso una successione di piani. La realtà di Nespolo non
s’impone come una rivelazione immediata, totale, illuminante: essa
appare come una zona intermedia e sottile a mezza strada tra la
singolarizzazione dell’oggetto e la sua appropriazione diretta. […]
Oggetti e forme di Nespolo vivono al condizionale e non all’indicativo.
Essi affermano la loro presenza, non s’impongono in quanto tali”. Nasce
di qui la tecnica dei ‘puzzles’, che del lavoro di Nespolo diventeranno
ben presto la più riconoscibile e riconosciuta (ma non certo la sola)
cifra distintiva. L’idea gli era derivata da un passatempo assai diffuso
allora tra i ragazzi e gli adulti, il ‘traforo’, dove la componente
ludica non è disgiunta da quella esecutiva, potenzialmente artistica e
creativa. Nespolo ritaglia e rifila pezzi sagomati di legno, incastrati e
fatti combaciare fra di loro per comporre figure dai contorni
irregolari; tessere perlopiù monocromatiche, che danno vita alla
combinazione di inedite – ora più ‘serene’ e riposate, ora addirittura
rutilanti – immagini policrome. Ed è proprio la “logica del puzzle”
(titolo della mostra prima ricordata) a coinvolgere tutta una serie di
particolari accorgimenti, che – sostenuti da una profonda consapevolezza
meta-artistica – riguardano l’intertestualità, l’uso della citazione,
la dialettica non più scindibile fra l’‘alto’ e il ‘basso’, con i
rimandi sia a un livello della comunicazione popolare (le Marylin dei
manifesti già ‘appartenute’ a Andy Warhol, i ‘fumetti’ alla
Lichtenstein) sia alle espressioni più raffinate della cultura e
dell’arte (le sculture classiche della mostra del Bargello a Firenze,
nel 2009). Il tutto, ancora, nel movimento circolare che unisce le
diverse forme e modalità delle esperienze creative. Sono le
caratteristiche del ‘postmoderno’, come ha scritto Eco nelle Postille a “Il nome della rosa”:
“ma arriva il momento che l'avanguardia (il moderno) non può più andare
oltre, perché ha ormai prodotto un metalinguaggio che parla dei suoi
impossibili testi (l'arte concettuale). La risposta postmoderna al
moderno consiste nel riconoscere che il passato, visto che non può
essere distrutto, perché la sua distruzione porta al silenzio, deve
essere rivisitato: con ironia, in modo non innocente". L'ironia e la
mancanza di innocenza sono i segnali di un distacco critico, di una
consapevolezza che, se non rifiuta il "piacevole" (il termine è usato
ancora da Eco), ne coglie e sottolinea il carattere di gioco, di
costruzione arbitraria, nell’accezione saussuriana secondo cui ogni
linguaggio è convenzionale e arbitrario, tutt’altro che ingenua e di
certo non meno problematica. Resta il fatto che, del ‘postmoderno’,
Nespolo rifiuta i fondamenti del ‘pensiero debole’ ma reagisce alla
‘crisi’ sul piano delle sue innovative proposte operative, proprio sulla
base di quella che potremmo definire un’‘etica del fare’. Si pensi alla
splendida serie di quadri ispirati ad alcuni celebri film (ed esposti
nella mostra Effetto pittura,
del 1994), in cui l'immagine si fonde con il movimento dell'azione
concentrando e insieme distendendo le pulsazioni intrinseche del
racconto. Il momento centrale – anche concettualmente – di questa
esperienza resta Il museo, il grande quadro presentato a
Livorno nel 1976, in cui nove visitatori, visti di spalle, guardano
quadri di artisti famosi. Siamo di fronte a una mise en abyme –
del tutto originale - della pittura altrui, che Nespolo rivisita e
reinventa, dando luogo a una sorta di narrazione pittorica 'speculare' (Le récit spéculaire è il titolo che Lucien Dällenbach ha dato a un suo libro del 1977, in cui studiava il fenomeno della mise en abyme nell'ambito della letteratura). Ma Il museo
era già un punto d'arrivo, in quanto riuniva idealmente e 'ripeteva',
variandoli, quadri dedicati in precedenza a singoli incontri fra uno
spettatore e l'opera d'arte (ad esempio Andy Dandy, dedicato a Warhol, o Guardar Morris, del 1973-74); nello stesso tempo Il museo
segnava un punto di partenza, che avrebbe dato origine ad una serie
aperta, fedele alla sua matrice ma capace di creare sempre nuove
associazioni (e suggestioni) figurative e formali, fino
all'autocitazione rappresentata, nel 1982, da L'artista e il suo doppio (di suggestiva efficacia è la panoramica offerta dal catalogo Merescalchi-Allemandi, Storie di Museo,
2001). Un parallelo sviluppo di questa problematica era nelle opere che
pongono direttamente l'opera nell'occhio dello spettatore (come Guardare Klein,
del 1974), dove siamo noi a volgere le spalle al quadro, osservandolo
nella pupilla dilatata di un ipotetico spettatore, in un gioco di
specchi nuovamente rovesciato. Ne deriva una serialità di citazioni
combinatorie che non diventa mai ripetizione, ma filo di un discorso
ininterrotto, che sisdipana – nel dialogo intrecciato di continue
riprese e variazioni – attraverso la serie infinita dei percorsi
tematici lungo i quali l'opera di Nespolo di dispone (un primo elenco,
assai nutrito ma per forza di cose provvisorio, è nel catalogo curato da
Janus per la mostra del 1981 Ieri/oggi/domani, alla Galleria Civica d'Arte Moderna di Ferrara). Più
che citare le importanti mostre realizzate in tutto il mondo (da New
York a Tokio, da Londra a Seoul, da Pechino a Mosca alla mostra
itinerante del 1997 presso le capitali del Sud America), ci piace
concludere, a esemplificare il complesso significato di una ininterrotta
e straordinaria esperienza di arte e di vita, ricordando quanto Nespolo
stesso ha scritto nel catalogo del 1997 Nespolo’s Posters: "Il
futurismo proporrà teoricamente una dirompente via d'uscita nella
geniale invenzione della 'ricostruzione futurista dell'universo',
progetto in cui la pubblicità, il manifesto, avranno un ruolo centrale.
Non più quindi commistioni casuali ma pianificazione d'invadenza di
tutto il territorio del visivo. Depero dà la stessa importanza all'opera
unica ed alla grafica pubblicitaria. Le sue realizzazioni per Campari
segnano la storia del visivo in maniera indelebile e – finalmente –
spezzano la stolta divisione di cultura alta e bassa". Poi, chiamando in
causa se stesso: "Ecco perché anch'io ho voluto sempre privilegiare
questa forma di comunicazione, ho rivolto un occhio attento al livello
di diffusione popolare cimentandomi con i manifesti e più in generale
con tutte le forme d'arte applicata. Il desiderio è di costruire una
sorta di 'Universo Nespolo', un buon contenitore di proposte e
realizzazioni da riversare nella contemporaneità. Il sogno (perché un
sogno c'è) è quello utopico di non contribuire a riempire di cose nuove
un mondo vecchio ma di promuovere addirittura la riedizione del mondo
stesso".
Testo © Giuseppe Zaccaria
Fotografie © Enrico Frignani
www.nespolo.com
Testo © Giuseppe Zaccaria
Fotografie © Enrico Frignani
www.nespolo.com
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