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Edificate tra il 1885 e il 1895, le Officine Grandi Riparazioni rappresentano una testimonianza particolarmente significativa dei primordi dello sviluppo industriale di Torino, cominciato a pochi anni dall’unificazione nazionale. Si tratta di un passaggio cruciale della storia cittadina. Con la perdita del titolo di Capitale d’Italia, ricoperto tra il 1861 e il 1865, e con il tramonto del suo ruolo di centro politico e amministrativo, retto per secoli in qualità di capitale dello Stato sabaudo, Torino deve infatti fare i conti con il proprio futuro, reinventarsi, cercare una nuova vocazione. Ed è già da qualche anno che le autorità cittadine fanno appello alle ricche famiglie aristocratiche e borghesi affinché abbandonino le tradizionali forme di rendita, legate agli investimenti immobiliari e all’acquisto di titoli di stato, e decidano di investire il loro denaro nello sviluppo industriale. La nascita delle Officine si inserisce proprio in questo contesto. Costruite in un momento di forte sviluppo delle reti infrastrutturali di un Paese finalmente unito e votato a entrare in concorrenza con le più forti economie europee, le Officine Grandi Riparazioni sono concepite per essere un centro di avanguardia nella revisione e riparazione di locomotive e carrozze ferroviarie. Un elemento funzionale al potenziamento degli scambi di prodotti industriali e di materie prime da e per Torino, una premessa indispensabile alla trasformazione della città in un grande polo industriale. Una significativa conferma di questa vocazione ci viene dalle dimensioni del complesso. Le Officine Grandi Riparazioni, posizionate lungo la ferrovia che collega Torino a Milano, occupano un’area immensa (190 000 metri quadrati), all’interno della quale vengono innalzate gigantesche costruzioni dall’architettura austera ma pregevole, somiglianti per struttura a delle imponenti cattedrali moderne, con navate lunghe fino a 200 metri. Ma è il posizionamento stesso degli stabilimenti a denunciare la presenza di un piano complessivo di espansione. Le Officine, infatti, appartengono a un più vasto complesso di edifici, tutti collocati alla periferia ovest della cinta daziaria del 1853, con i quali formano la zona che in quegli anni viene detta dei “grandi servizi”. Ne fanno parte, tra gli altri, le Carceri Nuove, edificate tra il 1862 e il 1870, il Mattatoio Civico, iniziato nel 1866, il Mercato del bestiame, risalente al 1870-71, e i cosiddetti Casotti daziari, innalzati nel 1869. Strutture imponenti e pensate non singolarmente, ma nel loro complesso, in vista di un successivo sviluppo della città, tanto dal punto di vista economico che demografico. Molto tempo è passato e le strutture che formavano l’area “grandi servizi” sono in larga misura scomparse in seguito a fasi successive dell’evoluzione della città e delle sue esigenze. Una parte dell’area storica delle Officine Grandi Riparazioni, in particolare, è ora occupata dal raddoppio del Politecnico e dalla cosiddetta cittadella politecnica. Sopravvive però, accanto alle Carceri nuove (anch’esse in via di ridestinazione), il corpo principale delle Officine, con i padiglioni di Montaggio, Torneria, Fucine, in disuso dall’inizio degli anni ’70 ma dall’aspetto ancora solenne, soprattutto nel caso dello stabilimento che, per la sua imponenza viene denominato “duomo”. Generazione dopo generazione, le Officine Grandi Riparazioni sono state testimoni del lavoro di migliaia e migliaia operai: una manodopera iper-specializzata e consapevole di appartenere a un’élite di artigiani di primissimo ordine, portatori, come le vecchie corporazioni di arti e mestieri, di conoscenze rare e complesse. Nelle Officine, infatti, si doveva far fronte a ogni incombenza: dalla riparazione di motori e camere di pressione alla curvatura e saldatura di lamiere, dall’allestimento degli “scheletri” delle carrozze, in gran parte in legno, alla lavorazione degli arredi. L’essere ammessi a svolgere alcune mansioni, come quella di pannellista, costituiva il riconoscimento ufficiale di un’eccezionale capacità, un titolo di merito che si traduceva nel rispetto e nell’ammirazione di tutti gli operai. La selezione del personale, del resto, era severissima in ogni reparto. Al momento dell’assunzione definitiva, ciascun aspirante doveva esibire il suo “capolavoro”, un manufatto industriale – un modello, un ingranaggio – che presentasse caratteristiche di altissima precisione. Fallire il compito significava essere esclusi dal numero dei dipendenti delle Officine. Certamente significativo è l’impatto che le Officine Grandi Riparazioni e l’area “grandi servizi” avrebbero avuto sugli sviluppi successivi del tessuto urbano e sulla storia stessa della città. Una delle caratteristiche delle maestranze delle Officine, in effetti, fu la fortissima politicizzazione e sindacalizzazione, che fece del complesso industriale uno dei luoghi in cui più velocemente si diffuse l’idea, allora nuova, del socialismo. Al momento della loro nascita, come si è detto, le Officine Grandi Riparazioni si trovavano a ridosso del confine occidentale della cinta daziaria tracciata nel 1853. Con il posizionamento in quell’area di stabilimenti tanto grandi, si creò l’esigenza di nuove case, situate nelle immediate vicinanze delle Officine. Si ponevano le basi per lo sviluppo del quartiere di Borgo San Paolo, uno dei grandi quartieri operai cittadini: quello che maggiormente, assieme al Lingotto e a Mirafiori, sorti più tardi intorno ai grandi stabilimenti Fiat, saprà segnare la storia del movimento operaio torinese. Gli abitanti del quartiere San Paolo, infatti, saranno tra i protagonisti degli scioperi dell’agosto 1917, durante le ore terribili del primo conflitto mondiale, e poco più tardi, nell’estate 1920, parteciperanno all’occupazione e autogestione delle fabbriche, un vero e proprio esperimento di rivoluzione socialista in Italia. Da Borgo San Paolo, tra l’altro, grazie soprattutto all’influenza politica che il giovane Antonio Gramsci seppe esercitare sugli operai del quartiere, sarebbe venuta una parte significativa delle primissime adesioni al Partito comunista d’Italia, nato a Livorno nel 1921, che vi avrebbe trovato una delle sue roccaforti anche sotto il regime fascista. Gli operai di Borgo San Paolo, inoltre, avrebbero dato un contributo importantissimo nella Resistenza al nazifascismo.
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