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giovedì 3 maggio 2012

> Villa Scott


Fotografia © Enrico Frignani


Realizzata sullo sfondo scenografico della collina, la villa fu commissionata nel 1902 all’ingegnere Pietro Fenoglio (1865-1927) da Alfonso Scott, consigliere delegato della Società torinese automobili Rapid. I lavori furono svolti in collaborazione con l’ingegnere Gottardo Gussoni (1869-1951), noto per le architetture eseguite anni dopo insieme a Ermanno Vivarelli (1866-1914), come l’edificio ridondante di eclettismo fra le vie Pietro Palmieri, Giacinto Collegno e Duchessa Jolanda. Coeva alla celebre palazzina Fenoglio-La Fleur, la costruzione è decorata da una fantasmagoria floreale che si fonde talora con stilemi di matrice neorococò, repertorio a cui sono dedicati all’interno apparati ornamentali e arredi disegnati dallo stesso Fenoglio. Tripudio dello stile liberty è invece la connotazione estetica delle scuderie, in cui probabilmente la committenza non esitò ad accogliere senza vincoli un gusto che non riscuoteva ancora pieno consenso. Villa Scott può essere infatti annoverata fra le eleganti dimore che la nascente borghesia industriale cittadina commissionò agli albori del Novecento, dimostrando interesse per le tendenze di rinnovamento culturale, senza più prediligere soluzioni stilistiche essenzialmente protese a emulare le residenze nobiliari. Tuttavia, l’edificio, da tempo disabitato, non è rimasto celebre solo per la raffinata interpretazione creativa, ma anche per essere legato al filone dell’esoterismo torinese, avendo offerto il set per diverse scene del celebre thriller Profondo rosso girato da Dario Argento nel 1975. www.museotorino.it

 Villa Scott e i brividi di 'Profondo rosso'

Se è vero che il destino è nel nome, Villa Scott, residenza delle Suore della Redenzione, chiamata per molti anni Villa Fatima, non poteva che diventare un luogo da incubo. Tappa d' obbligo nei vari tour della Torino del mistero - quella magica, quella gialla, o tutt' e due - e più recentemente meta di pellegrinaggio dei «cineturisti» subalpini, la celebre «Villa del bambino urlante» di Profondo rosso è un gioiello liberty incastonato come una gemma perturbante, dal potere oscuro ed esoterico, nella quiete nobiliare della precollina. Corso Giovanni Lanza 57 è l' indirizzo. Per molto tempo, dopo l' uscita del thriller capolavoro di Dario Argento, nel '75, la gente se ne è tenuta prudentemente alla larga. Come se da quelle torrette e quei bovindi, dagli scaloni, i pilastri, le nicchie, le fontane e le decorazioni floreali care all' architetto Fenoglio (autore della più celebre Casa La Fleur e di altri gioielli Belle Epoque) emanasse chissà quale esprit malefico. è viceversa un innocuo, affascinante villino decadente, costruito da Fenoglio nel 1902 per conto di Alfonso Scott, gentiluomo abbastanza ricco da potersi permettere questo fantasmagorico omaggio al Liberty. Le ultime ad abitarlo sono state appunto le Suore della Redenzione, proprietarie della villa ai tempi di Profondo rosso. Vi avevano allestito un convitto femminile. «Durante le riprese del film - racconta Dario Argento - Furono mandate tutte in vacanza a Rimini, le studentesse e le sorelle». Ciò che rende inquietante il luogo - tuttora disabitato, coperto da fronde e cespugli e da una patina di abbandono come una rovina gotica - è la memoria cinematografica, rimasta impressa nell' immaginario con i tutti i suoi fotogrammi e la colonna sonora che ancora gela il sangue, dopo più di trent' anni. Come è notissimo anche ai meno assidui frequentatori della letteratura argentiana, Villa Scott entra nell' indagine del protagonista David Hemmings con il suo atroce bagaglio di memorie segrete. è l' origine del mistero e della nenia infantile che accompagna gli omicidi. Un «personaggio» fondamentale nella storia, dunque. Argento utilizzò realmente gli interni della villa, che non furono ricostruiti in studio. Saloni, corridoi, mobili e finestre sono originali. «Continuo ad essere molto affezionato a Villa Scott - dice il regista - La scelsi perché mi serviva una casa signorile e spettrale. Non so chi siano adesso i proprietari. All' epoca c' era un istituto femminile gestito dalle suore. Prima del nostro arrivo ci fu un equivoco. Non avevano capito che per girare mi serviva la casa vuota. Alla fine trovammo una soluzione». Mistero, giallo puro. L' occulto, il satanismo, il triangolo nero, la magia della Gran Madre, la porta sotterranea che da piazza Statuto scenderebbe all' inferno non c' entrano. Per il maestro italiano del thriller Torino è, semplicemente «una città cinematograficamente perfetta». Non solo. E' anche quella, dice Argento, «dove i miei incubi stanno meglio». «Quando penso a un film lo penso a Torino - spiega - Per me è come un teatro di posa. Architettonicamente è stupenda. Ha una grande varietà di stili. Dall' antica Roma al Ventennio agli edifici contemporanei». Al Liberty di Pietro Fenoglio, all' agghiacciante «casa del bambino urlante» che i cinefili ancora vanno a vedere e a fotografare (come i turisti forestieri sono andati invano a cercare l' hopperiano Blue Bar ricostruito in piazza Cln e mai esistito fuori dall' invenzione cinematografica) in cerca di brividi antichi. Torino, sempre Torino. Per Profondo rosso, Quattro mosche di velluto grigio, Il gatto a nove code, Non hosonno e recentemente La terza madre, ultimo capitolo della trilogia di Suspiria e Inferno. «Quando la scelsi la prima volta, per Profondo rosso - ricorda Argento - fu quasi un gesto istintivo. Ero già stato a Torino una volta, da ragazzo, assieme a mio padre. E proprio in quell' occasione ne rimasi affascinato. Era inverno, pioveva, le strade erano lucidissime. L' atmosfera era un po' lugubre, a dire il vero. Vedevo luci gialle ovunque. Un set perfetto, pensai, anche se non meditavo ancora di fare cinema». In una lunga intervista televisiva realizzata in occasione del trentennale di «Profondo Rosso», il regista romano ha raccontato come nacque l' idea e poi il film: «Per scriverlo dovevo avere paura. Così la mattina presto andavo da solo in una vecchia casa fuori città e tornavo soltanto quando faceva buio».  Testo © Clara Caroli per  La Repubblica.

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